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Storia di un pittore messinese “Virtuoso al Pantheon”

Michele Panebianco (Messina, 20 dicembre 1806 – Messina, 4 aprile 1873), pittore, allievo di Vincenzo Camuccini1 e Letterio Subba.


Nacque a Messina il 20 dicembre 1806 da Cosimo e Caterina De Bartolo. Apprese i primi rudimenti artistici alla scuola messinese di Letterio Subba (pittore messinese di notevole spessore, appena tornato da Firenze) presso il Collegio Carolino. Venuto a contrasto col maestro, abbandonava il Collegio e otteneva dal municipio una borsa per studiare pittura a Roma, dove vinse un concorso. Divenne l’allievo del prof. Camuccini e abitò in una casetta sita in Borgo Pio, vicino S. Pietro. Qui frequentò Tommaso Aloysio Juvara e scambiò con lui alcune interessanti opere.

Intanto a Messina, il suo primo mecenate Carmelo La Farina gli spianava la strada per la realizzazione di parte degli affreschi del palazzo comunale (che erano stati cominciati da Letterio Subba). La Farina scelse il tema da trattare con monsignor Gaetano Grano e Panebianco realizzò i tre bozzetti custoditi poi nella sua abitazione (1831).

Andato ad abitare in un albergo di via dell’Orso a Roma insieme al compagno di studi Domenico Tojetti2, con il quale condivideva le spese di soggiorno, il Panebianco conobbe una bella marchesa di Rieti anch’essa dimorante nello stesso albergo, mentre il marito era rinchiuso in Castel Sant’Angelo sotto accusa capitale. S’innamorò e la loro storia, per non dar nell’occhio, continuò in una casetta in via Ripetta vicino Piazza del Popolo. Lo scandalo però si diffuse e arrivò anche a Messina. Cosicché il fratello Antonino fu incaricato dalla madre Caterina di andare a recuperare Michele e di riportarlo a casa.

A Messina, Michele cominciò a lavorare senza sosta e venne a contatto con diversi mecenati dell’epoca: Demetrio Mauromati, il duca di Sperlinga, Jaeger, Sanderson, Fischer, Matthaei, Oates, Calcagno. Aprì una scuola.
In seguito allo scioglimento delle congregazioni religiose, i frati messinesi reclamarono le opere d’arte contenute nei conventi e nelle chiese. Carmelo La Farina promise di consegnare loro delle fedeli copie degli originali e commissionò tali opere al Panebianco.

Fra queste:

  • La pesca miracolosa del Comandè scolaro del Tintoretto presso la chiesa di S. Andrea dei pescatori;
  • La natività del Messina del Polidoro presso la chiesa dell’alto-basso;
  • Vergine con un santo vescovo e sant’Onofrio del Riccio discepolo del Polidoro presso la chiesa di Sant’Onofrio;
  • Sant’Erasmo di anonimo presso la chiesa di S. Erasmo.

Il marchese La Cerda gli commissionò, attraverso il suo segretario generale Vaccaro, un affresco per il Teatro La Munizione di Messina (dopo aver visionato le bozze di alcuni dipinti per il palazzo della città, che poi non si fecero) e scelse Simmaco messinese vincitore dei giochi olimpici in Atene. Poco dopo il Vaccaro, trasferito all’Intendenza di Siracusa, moriva pugnalato dalla superstiziosa popolazione decimata dal colera.

Nell’epidemia del 1837 i comuni siciliani insorsero contro i Borbone e gli avvelenatori. Panebianco non partecipò ai tumulti ma si rinchiuse in casa dipingendo la Madonna della Lettera che allontana dalla città un mostro (il colera). Il disegno fu inciso anche dall’amico Juvara e venduto in migliaia di copie.

Accadde un anno che il re Ferdinando II, probabilmente per accattivarsi le simpatie popolari dei palermitani, partecipasse alla festa di S. Rosalia, trascurando gli onori tributatigli dal passaggio di carrozze e baldacchini a Messina. Michele dal suo balcone vide la scena del re alle Pagliarelle, circondato da una folla festante, lieta della fiducia accordatagli dal sovrano e dipinse quella scena con 400 figure. Il segretario generale Michele Celesti e l’intendente De Liguoro s’incaricarono di farla giungere al re a Napoli. Ferdinando, rimasto folgorato da tale vena artistica, mandò 1.700 lire per incoraggiarne la riproduzione in serie sempre tramite lo stesso Tommaso Aloysio Juvara (la prima lastra, spedita a Monaco per la riproduzione arrivò malconcia, per cui Juvara stesso si recò a Parigi per realizzarne una nuova e stamparla sotto la sua stessa direzione). Nell’Esposizione di Palermo del 1843 l’opera diede la medaglia d’oro al Panebianco.

Gli amici dicevano che il Panebianco aveva il difetto di dedicarsi poco alla lettura e molto al disegno e perciò non raggiunse il livello di “poeti Michelangelo e Salvator Rosa, o di prosatori come un Cellini o un Leonardo”, si procurò tuttavia i romanzi di D’Azeglio e Guerrazzi, alcune tragedie del Piccolini (dal quale trasse la scena dell’atto V di Giovanni da Procida). Dipinse anche una pia tradizione messinese, un altro acquarello de La difesa del SS. Sacramento fatta dai cavalieri verdi contro l’attacco dei Saraceni nell’anno 1059. Volle farne anche una stampa, ma lo Juvara si trovava a Londra e Gian Francesco Boccaccini s’offrì in sua vece. A Napoli fu mandata la pietra per la tiratura delle copie ma la polizia trovò strana la pretesa e fece distruggere tutto. Tuttavia, i disegni furono presentati nel 1853 all’Esposizione di Napoli.

Soggiornò quindici giorni a Milano in compagnia del pittore Francesco Hayez e dell’incisore Bonatti. Poi a Venezia conobbe il celebre pittore Michelangelo Gregoletti3direttore della Regia Accademia di Belle Arti della città lagunare. Qui copiò dai migliori: Bellini, Palma, Paris Bordone, Tiziano, Paolo Veronese4.

Ecco un breve elenco degli originali tradotti in copia:

  • La presentazione del tempio, L’Assunta, San Giovanni Battista nel deserto di Tiziano;
  • Consiglio dei dieci di Paris Bordone, Il giudizio di Salomone di Bonifacio;
  • Madonna con un bambino, di Giovanni Bellini;
  • Sacra famiglia con San Giovanni e Santa Caterina (R.Accademia di Belle arti).
  • San Marco seduto in alto fra quattro santi, Tiziano (Santa Maria della Salute).
  • La probatica piscina, La circoncisione, Il martirio di San Sebastiano, Il martirio di San Marco e Marcellino, La coronazione della Vergine, di Paolo Veronese (San Sebastiano),
  • Il San Pietro Martire (San Giovanni e Paolo).

Al ritorno da questa palestra, dipinse il ritratto del cardinale Francesco di Paola Villadicani, arcivescovo di Messina, che si conserva nella galleria del principe di Mola. La scuola veneziana fece effettivamente la differenza: il viso del cardinale dipinto dal Panebianco, considerato un capolavoro, fu tradotto in stampa dallo Juvara e collocato anche nel libro di Carmelo La Farina, Cenni biografici dell’eminentissimo D. Francesco di Paola Villadicani).

Restaurò la Natività del Messina per commissione del monastero di Santa Caterina della città di Randazzo.

Durante la rivoluzione del’ 48-49, era ancorato all’ingresso del porto di Messina, a copertura dei connazionali inglesi, un naviglio comandato dal capitano di fregata Sir Henry John Codrington, il quale osservò il ritratto di Panebianco nella casa del console. Panebianco fu invitato a colazione a bordo della fregata inglese e qui conobbe anche il console americano Blake che gli ordinò il suo ritratto. Blake alloggiava in un appartamento dell’albergo gestito da Nobolo, qui Panebianco si recava ogni mattina per il ritratto, quando un giorno una palla di cannone fracassò un muro della stanza, alzando un nugolo di polvere. L’americano, abituato alle esplosioni belliche, non si scompose minimamente, mentre il Panebianco, in quell’occasione, fuggì spaventato.

Tra i ritratti del periodo post-rivoluzionario, ricordiamo la tela con i sei membri della famiglia Alcontres.

Nel 1850, Panebianco vinse il secondo concorso per il gran sipario del nuovo Teatro S. Elisabetta, costruito sotto la direzione dell’architetto napoletano Pietro Valente. Il primo concorso era stato istituito nel 1846, ma fu interrotto in seguito allo scoppio della rivoluzione antiborbonica: la fuga del rivale Letterio Subba, rifugiatosi a Malta, lo favorì. La sera del 12 gennaio 1852 ci fu la solenne apertura del teatro e la presentazione della tela rappresentante Gelone che accorda pace ai Cartaginesi a patto di non più sacrificare vittime umane, retribuita con 7.000 lire.

Con ufficio del 25 giugno 1852 il sindaco Marchese di Cassibile comunicava all’artista il seguente decreto: “Vacando la scuola di disegno e pittura nella R.Università di Messina per la dimissione volontaria del prof. Letterio Subba, tenuta presente la deliberazione di questo decurionato, e le altre di cotesta commissione di pubblica istruzione, io approvando il voto decurionale e la proposta di cotesto consesso scientifico, ho risoluto che pel vantaggio della istruzione la detta scuola venga aggregata a quella del nudo, e che l’unica scuola riunita sia affidata al chiaro artista D. Michele Panebianco, il quale rimane eletto professore col soldo di ducai 175 e grana 50 annuali di netto, annessi allo art. 53 dello stato discusso comunale di Messina”.

Uno dei più grandi mecenati del Panebianco, patrocinatore del Teatro S. Elisabetta con un contributo a titolo personale, il filo-borbonico Sindaco di Messina  Silvestro Loffredo II Marchese di Cassibile  istituì anche la nuova Scuola di disegno, di pittura e di nudo presso la Regia Università di Messina, affidandone la direzione allo stesso Panebianco (che scopriamo anche suo parente in qualità di zio del genero del Marchese di Cassibile5).

Panebianco amava trascorrere il tempo libero con gli amici Caglià e Cappadonia sui laghi del Faro, a San Piero (famoso per le avvenenti e robuste balie), a Reggio, a Catania, ad Acireale, a Napoli.
Non ebbe moglie e visse con la madre (morta nel 1861) e poi con la sorella che rimase nubile per assisterlo.
Nei suoi corsi tenuti presso la Regia Università aveva circa 200 alunni e molti altri nel Regio Ospizio di Beneficenza.

Fece parte del comitato per le Esposizioni di Dublino, Londra e Firenze. Ebbe incarichi da governi, società artistiche e dalla Commissione di Antichità e Belle Arti presieduta da G. De Spucches-Ruffo principe di Galati.

Durante l’epidemia di colera del 1854, nella quale perse la vita anche il sindaco Silvestro Loffredo Marchese di Cassibile, Panebianco si rifugiò con lo scultore e amico Saro Zagari nel villaggio di Monteporzio a Roma. Lo seguirono parecchi allievi: Dario Querci, Placido Trombetta, Vincenzo Panebianco, Antonio Gangeri, Cristoforo Perroni, Giuseppe Calì, Placido Butà.
Ritornò a Messina con tutti i suoi allievi e fu subito impegnato negli affreschi per la volta di Santa Maria della Scala, insieme al Mazzaresi (che si occupò del restauro degli affreschi del Bova) e  Giacomo Conti.

Panebianco fu ammirato dai più valenti artisti, mentre lavorava a palazzo Farnese: Tenerani, Minardi, Podesti, Goghetti, Cornelius e Salvadore Betti. Lo scultore Giuseppe Prinzi nel 1859 lo ritrasse con la divisa da Accademico dei Virtuosi al Pantheon, con la commenda di S. Tommaso d’Aquino al collo, onorificenza e distintivo acquisito con la carica di professore universitario. L’amico di stanza Domenico Tojetti ne fece un ritratto nel 1855. Sia il busto sia la tela si conservavano presso la casa dell’artista.

Alla notizia dello sbarco di Garibaldi nell’isola, Panebianco abbandonò Roma e tornò a Messina. Qui il generale Medici volle andargli incontro e lodarsi con lui della riproduzione di quel giorno memorabile (La battaglia di Milazzo).

Gli anni dal 1861 al 1867 furono molto prolifici perché il pittore potè disimpegnarsi dalla carica di professore.

L’epidemia di colera del 1867, costrinse nuovamente molti cittadini ad abbandonare la città. Fra le vittime illustri: Bisazza, Natoli, Gangeri, Kramkamp.

Al ritorno a Messina, Panebianco giocò al lotto i numeri che ebbe in sogno, ricavandone migliaia di lire.

Tuttavia, anch’egli aveva contratto il colera e fu in quell’occasione che dettò la biografia che stiamo leggendo.

Gli ultimi suoi allievi furono Gregorio Zappalà, Letterio Gangeri e Gaetano Russo.

Morì il 4 aprile del 1873. I nipoti Cosimo, Gregorio e Caterina gli dedicarono un monumento colossale sulla salita per il Cenobio presso il Gran Camposanto di Messina.

Il suo lavoro principale, la tela raffigurante La difesa del SS. Sacramento fatta dai Cavalieri Verdi contro l’attacco dei Saraceni, andò distrutta nel terremoto del 28 dicembre 1908.

Degli altri suoi lavori si ricordano:

  • Venere ignuda per Luigi Werbeke;
  • Sacro Cuore, Annunziata e San Giuseppe per la cappella privata del negoziante Mariano Costarelli;
  • Olimpo nell’atto che Mercurio presenta a Giove Psiche pel matrimonio di Amore per il soffitto della villa del Costarelli;
  • Il riposo in Egitto per il Tenerani;
  • Ritratto dei coniugi Celesti di Palermo;
  • Catafalco per la morte di Cavour presso la Cattedrale di Messina (su progetto di Leone Savoja);
  • Sant’EleuterioCuore di Gesù, per la Chiesa di S.M. di Barcellona P.G.,
  • S. Agata nelle prigioni nel momento che le appare San Pietro, per Acireale;
  • Stigmate di S. Francesco per il monastero di S. Chiara a Messina;
  • Apoteosi di S. Francesco, affresco della volta dell’Oratorio dei Mercadanti;
  • Deposizione della croce per Altolia, villaggio di Messina;
  • Miracolo di S. Nicolò per il soffitto della Chiesa maggiore a Venetico;
  • Il ritorno degli Ambasciatori messinesi da Gerusalemme;
  • Gli Ambasciatori messinesi che ricevono il sacro foglio da Maria Vergine;
  • La solenne entrata del Conte Ruggero in Messina;
  • Simmaco vincitore dei giuochi Olimpici;
  • Il Samaritano;
  • Immacolata fra un coro di Angeli;
  • S. Antonio;
  • Madonna degli Agonizzanti;
  • Episodio della Battaglia di Milazzo, acquistato dalla signora inglese Damiani per 2000 lire.

Appartengono al periodo successivo alla malattia che lo condusse alla morte:

  • Sacro Cuore per Giuseppe La Maestra;
  • Madonna con bambino su una tavola di cipresso e quattro quadretti di genere (carnevale di Venezia, di Napoli, di Milano e di Messina) per la famiglia Amodeo;
  • Quattro tele con ritratti per Mariano Costarelli e consorte;
  • Ritratto del barone Giuseppe Galluppi-Cuzzaniti; 
  • Ritratto del piccolo figlio dei coniugi Kuhne, deceduto anzitempo.

(1) Tratto dal libro di Dario De Pasquale “Mille volti, un’anima. Percorso iconografico nel Gran Camposanto di Messina alla ricerca dell’identità perduta, [2010] (in offerta!).


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Note

  1. Vincenzo Camuccini, (Roma, 1771 – 1844), pittore e restauratore neoclassico, grande studioso di Raffaello, di cui iniziò a imitare forme e colori. Fu tale l’importanza dell’artista urbinate nella sua vita, da essere chiamato al Pantheon per l’esumazione della sua salma. Direttore della Fabbrica di San Pietro, lavorò anche per Napoleone e fu il presidente che precedette A. Canova all’Accademia di San Luca in Roma.
  2. Domenico Tojetti (Rocca di Papa, 1807 – San Francisco, 1892), pittore diviso fra i Castelli Romani (affreschi di Villa Torlonia, Basilica di San Paolo fuori le mura e Chiesa di Sant’Agnese di via Nomentana), le Marche e degli Stati Uniti d’America. Divideva l’appartamento romano anche con Leonardo Massabò. Nel 1867 si trasferì nelle Americhe, dove trovò notevoli committenze, fra le quali anche quelle dell’imprenditore delle ferrovie John Hopkins.
  3. Girolamo Michelangelo Grigoletti (Pordenone, 1801 – Venezia, 1870), pittore di umili origini e di straordinario talento
  4. Le opere sono elencate in Ferdinando Ranalli, Storia delle belle arti in Italia, Firenze, tip. E.Torelli, 1856, vol.I, p.339
  5. Il nipote in questione è il possidente Michele Pulejo (figlio di Federico e Anna Panebianco, sorella di Michele), che sposò Emmanuela Loffredo, figlia di Silvestro.
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