ARTE GRECA CLASSICA
E’ nel periodo di pace socio-politica, sotto Pericle, che ha inizio l’età greca classica. In maniera graduale, gli scultori si cimentano nella difficile arte della scultura, cercando di avvicinarsi il più possibile alla realtà del movimento e all’ideale nelle proporzioni.
Lo stile severo
La prima fase (480-450 a.C.), detta dello “stile severo“, per via della rigidità presentata dalla statuaria di questo periodo di studi, era ancora caratterizzata dal sorriso arcaico e da elementi decorativi e da posture che sottolineavano un maggior realismo anatomico. Si spiega anche una maggiore produzione di statue in bronzo: il modello in argilla, infatti, poteva essere facilmente modificato, mentre la statua in bronzo permetteva di realizzare figure plastiche con gli arti sospesi nel vuoto senza il pericolo di rottura.
La prima espressione di tale tendenza a noi giunta è l’Auriga di Delfi, la più antica statua bronzea in assoluto. Faceva parte di un complesso monumentale costituito da una quadriga trainata da cavalli e collocato su un basamento di marmo. Lo spessore del bronzo è notevole, probabilmente per garantire una migliore conservazione nel tempo, sebbene la statua sia mutila del braccio sinistro. La cura nella realizzazione è eccezionale: dalla capigliatura, regolare e compatta, cinta dalla tenia (=benda della vittoria), al volto sorridente con occhi espressivi di pietra dura, il volto girato a favore del pubblico, il panneggio della veste morbido e accurato, scanalato come una colonna, le redini molli come in un giro di ricognizione e i piedi perfetti con una leggera tensione nervosa.
In evidenza anche lo Zeus di Capo Artemisio, che, con la sua grande estensione delle braccia (la statua è alta 209 cm), mira al gesto atletico del lancio mostrando la sua possanza fisica, con il torso girato di tre quarti, il braccio sinistro proteso in avanti alla ricerca di un equilibrio, il destro che carica il dardo (oggi mancante) e i piedi ben piantati per terra in una posizione che segue quella degli arti superiori.
L’equilibrio instabile
Dopo gli studi sull’“equilibrio instabile” compiuti da Mirone di Eleutere, scultore realista appartenente alla Scuola Attica, si arriva al “canone” del bronzista di Argo, Policleto, il quale trova la giusta soluzione per esprimere il movimento nella stasi, con il semplice spostamento dell’asse del corpo.
Le sue statue non riproducevano modelli reali ma ideali, geometricamente perfetti.
L’arte era diventata una scienza.
Il periodo della perfezione
Nel Discobolo è realistica la tensione muscolare, lo sforzo del fisico che si contrae, mentre innaturale è il volto completamente rilassato, quasi privo di sentimenti.
Diversa è la composizione stilistica in Policleto, concentrato non solo sulla forma geometrica, sulla proporzione e sull’equilibrio, ma anche sull’assetto del corpo e sull’espressione adeguata. Il Doriforo (=portatore di lancia) è un chiaro esempio del culmine raggiunto dalla sua arte: perfetto nelle sue dimensioni e nella visione a tutto tondo, è l’emblema del canone policleteo (cioè il perfetto rispetto dei rapporti tra le varie parti del corpo umano: la testa è compresa 7 volte nel corpo, un piede è lungo quanto un avambraccio, una mano quanto il volto ecc). La statua oggi esistente a Napoli è una copia dell’originale in bronzo realizzato dallo stesso Policleto.
Osservate come il corpo, pur essendo inquadrato in canoni geometrici precisi, con il ginocchio sinistro flesso contrapposto al braccio destro disteso e viceversa, si presenti armonioso e dotato di grande naturalezza.
Successivamente a questa scoperta, fu facile e divertente collocare statue nel timpano di un frontone di un tempio. Fidia è lo scultore che meglio riuscì ad interpretare l’arte del modellare il marmo in senso geometrico, dando cioè alle sue statue una collocazione spaziale in completa armonia con l’architettura che le circondava. Non solo: le opere di Fidia possiedono un’energia che solo pochi scultori dell’età classica seppero esprimere.
Le divinità Atena, Dione e Afrodite (sculture del fronte orientale del Partenone) appaiono, pur nel loro rimaneggiamento, abilmente modellate dal vento, con un panneggio realistico ed armonico, aderente ai corpi, capace di creare un movimento di luci e di ombre da sembrare quasi vitali. È lo straordinario concetto che lega lo scultore Fidia alla materia che lavora: in essa, per mano sua, si scatenano i quattro elementi naturali che l’attraversano senza sosta, fino a rivelarne la sua vera identità, l’anima. Lo si legge nei movimenti dei corpi, lo si vede nei drappeggi martoriati dal vento, a volte ingombranti, a volte sottili, quasi impercettibili.
Il sontuoso tempio dedicato dagli Ateniesi ad Atena conteneva una gigantesca statua crisoelefantina (=di oro e di avorio, 12 mt) della dea. La realizzazione di questa statua creò non pochi problemi al suo autore: accusato di aver sottratto l’oro consegnato dalla città al suo cantiere di lavoro, Fidia, per scagionarsi, fece smantellare la copertura di lamine dorate e, solo dopo averle fatte pesare, fu creduto. Poi, con grande impegno e abnegazione, la ricostruì pezzo per pezzo. Di tale statua ci rimane solo una miniatura realizzata nel II sec. d.C. (Museo di Atene).
Ricordiamo che tutte le statue realizzate dai Greci erano ricoperte da una vasta gamma di colori, per renderle più realistiche, belle e vivaci agli occhi di tutti.
In primo piano, L’Arciere, notare la ricostruzione cromatica dell’arciere “troiano”, un tempo esposto sul frontone occidentale del Tempio di Aphaia nell’isola greca di Egina (2003, Monaco di Baviera, Gliptoteca) .
Singolare anche questa ricostruzione del famoso tempio ateniese realizzata a Nashville, nel Tennessee, che mostra il particolare interesse degli statunitensi verso il mondo greco e le origini delle arti.
La Guerra del Peloponneso portò alla fine dell’indipendenza delle città greche. Dopo anni e anni di lotte anche intestine, le popolazioni greche avevano abbandonato i temi dei grandi ideali e degli dei, presi dalla quotidianità e dalla lotta alla sopravvivenza. L’arte di questo periodo prese finalmente in considerazione i sentimenti umani, le imperfezioni del carattere dell’uomo; persino gli dei furono umanizzati e riprodotti in pose e in attività anche futili.
Pensiamo alla prima dea nuda, l’Afrodite Cnidia o all’Apollo Sauroctonos di Prassitele. Il massimo della disperazione umana, della tragedia che aleggiava su tutta la Grecia, fu raggiunto dallo scultore Skopas, nelle cui opere è chiaramente leggibile tutta la tensione di un’anima prigioniera del corpo.