Biografie: l’architetto messinese Leone Savoja

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Il progettista del Gran Camposanto di Messina

Uomo riservato e di poche parole, era piccolo di statura, magro e scattante. Raramente sul suo volto appariva il sorriso e il suo sguardo fisso e profondo riusciva ad incutere timore e soggezione. Raggiunta la tranquillità economica, sostenne, con mezzi propri, giovani e promettenti artisti di modeste origini, come lo scultore Giovanni Scarfì, l’ingegnere Gregorio Bottari, l’incisore Antonino Saccà, l’architetto Pietro De Domenico.

Un grande benefattore e sostenitore delle arti

Li accolse presso la propria dimora e garantì loro mezzi di sostentamento sia nella vita privata che professionale. Volle fornire un aiuto anche all’architetto Falconieri, autore a Messina del tempio presso la villa Mazzini e della fontana in piazza Arigò, durante l’ultima sfortunata fase della sua vita a Roma.
La sua abitazione di via S. Giacomo, vicino al Duomo, era corredata da fotografie, busti e medaglioni in marmo riproducenti le persone a lui più care: Giuseppe e Silvestro La Farina, Pietro Cuppari (suo ex allievo), il medico Domenico Pispisa, l’incisore Tommaso Aloysio Juvara, l’architetto Pietro Valenti, il prof. Maddem di Catania, il naturalista Benoit, il chimico Saya, il letterato Francesco Paolo Perez.
Fu un uomo estremamente ospitale e un gran cerimoniere: gli amici e i conoscenti non mancavano mai di elogiare i suoi lauti banchetti impreziositi da argenterie cesellate, porcellane, cristalli finissimi e decorazioni floreali.
Animo onesto e irreprensibile, si scagliò contro appaltatori rapaci, politici corrotti e colleghi poco votati alle belle arti. Rifiutò l’incarico di direttore dei lavori presso il Teatro Massimo di Palermo per solidarietà nei confronti dell’architetto titolare, il dimissionario Giovan Battista Filippo Basile. Pur vittima delle invidie dei suoi colleghi concittadini, non si allontanò da Messina, come invece fecero Giuseppe La Farina, il barone Giuseppe Natoli, Pietro Cuppari.

Il politico e il massone

Fece parte della Società Nazionale diretta dal messinese Giuseppe La Farina negli anni 1851-54 e protesse diversi patrioti perseguitati, ospitandoli presso le proprie dimore di Messina e Francavilla. Finanziò la Società fino alla sua chiusura, avvenuta nel 1862, dopodichè si estraniò dalla vita politica e preferì non schierarsi con nessuna delle fazioni allora in voga e, pur non essendo né clericale, né moderato, né progressista, né repubblicano, né anarchico, ebbe numerosi avversari politici, invidiosi del suo successo professionale.
Fu insignito della croce di cavaliere dell’Areopago di Francia e dell’ordine dei Cavalieri Ospitalieri di Spagna.
Fu socio emerito dell’Artistica Congregazione dei virtuosi al Pantheon.

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Stralcio delle note biografiche su Leone Savoja, tratto dal libro: Mille volti, un’anima : dal Gran Camposanto di Messina all’Unità d’Italia un
percorso iconografico alla ricerca dell’identità perduta, di Dario De Pasquale, con mappe, itinerari sul Gran Camposanto di Messina e confronto con gli altri camposanti monumentali d’Europa, Barcellona di Sicilia, ABC Sikelia, 2010.

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